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Kairos

Kairos

2016 - on going

La prima volta che mi sono imbattuta nel lavoro di Sofia Podestà ho avuto la sensazione che io e lei ci conoscessimo. Di più: ho pensato che potremmo aver parlato per ore, condiviso racconti, scoperto gusti e passioni comuni; ma questa mia è solo l'infantile pretesa di qualsiasi membro del pubblico di avere un legame speciale con il lavoro dell'artista del cui lavoro si è infatuato, ma i percorsi e talenti invece viaggiano lontani dalla nostra storia e dalla nostra formazione, per poi incontrarsi un giorno, magari in una galleria.
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Quale sia la ricerca di Sofia, cosa attragga il suo occhio di fronte alla pietra dura della Marmolada o lungo una vecchia pista di bob sulla quale si adagia la natura in assenza dell'uomo, resta un mistero. Ma nel suo lavoro ho amato anche qualcosa che mi ha ricordato Luigi Ghirri: gli oggetti inanimati che sembrano sostituirsi ai protagonisti umani, i mari d'inverno, le architetture in cui il colore e le forme hanno creato un sodalizio speciale ma soprattutto quelle fotografie in cui la nebbia e la foschia sembrano creare quello spazio in cui viene meno la nostra capacità di leggere con chiarezza le cose e gli eventi. Ed è proprio in questa incertezza e in questa sospensione che Sofia è in grado di immortalare il nostro senso di smarrimento e forse, per qualcuno, un presentimento di amore.

Mia Ceran

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Kairos

Il lavoro di Sofia Podestà (Roma, 1991), indaga principalmente la relazione dell’uomo con il paesaggio: spesso si concentra su scenari grandiosi, dove la natura regna in tutta la sua maestosità, come ad esempio nelle serie Enrosadira ed Emotional Landscapes. Con Kairos, invece, il registro cambia: si tratta di una dimensione più delicata, quasi intimista, seppure le immagini appartengano a lavori precedenti, da cui sono state estrapolate. Ed è proprio nel lavoro di rilettura del proprio archivio che nasce questa nuova sequenza, che inanella 12 immagini, scattate tra 2016 e 2021, che spaziano tra la Marmolada e Cortina, tra l’Islanda, il Terminillo, e Monte Livata.

L’occasione è data dalla pandemia in corso e dalle misure di confinamento messe in atto per arginare la diffusione del virus: nell’impossibilità di recarsi, fisicamente, nei suoi luoghi prediletti, la fotografa rivisita quanto prodotto fino a quel momento, ma con un nuovo filtro: ed è così che scatti inizialmente accantonati acquistano un nuovo sapore e un nuovo significato, sotto una prospettiva diversa.

Alberi spogli, come intirizziti dal ghiaccio, boschi scuri e intricati, ricoperti da un manto di foglie cadute e dalla neve, coltri di foschia che accarezzano le rocce e celano le cime degli abeti, in un gioco a nascondino dove siamo lasciati a chiederci se la nebbia si stia alzando o stia calando, e a cercare di rispondere alla domanda di dove vada il vento quando non soffia. Podestà ci mostra una geografia delle piccole cose, dove la semplicità di un ramo caduto, in bilico su uno specchio d’acqua, si accompagna ad un accenno malinconico. Qui e là si intravedono sparute tracce della presenza umana, che la natura lentamente ricopre e cela: è solo una questione di tempo, è l’ordine del cosmo, che procede incurante degli affari umani.

In questo scorrere incessante, la fotografia si inserisce cercando di sottrarre attimi al tempo cronologico, in nome di una necessità: quella di registrare un momento più o meno decisivo. Questo lavoro di Podestà si inserisce nel punto di contrasto tra l’eternità della natura e l’urgenza di cercare di catturare una parte, seppur minima, della sua essenza: sono frammenti di paesaggio, ma anche gli spazi del sé. Alla luce di questo e della genesi stessa di questa selezione, appare evidente come la nostalgia che aleggia in questi scatti assuma un tono ancora più carico: in pieno lockdown, questi paesaggi sono i luoghi familiari di cui si sente la mancanza e dove non si vede l’ora di tornare, come se fossero un caro amico.

Le immagini assumono quindi un connotato meditativo, oltre che sulla condizione umana, anche sulla natura stessa dell’archivio e del suo uso nell’ambito fotografico: non si tratta di un organismo sterile che semplicemente raduna quanto è stato visto, scattato, sequenziato, mostrato, scartato, bensì di una raccolta viva, che necessita di un continuo lavoro di ri-interpretazione e revisione. Nella calma imposta da forze maggiori, come in un bosco avvolto da un fitto manto di nebbia, Podestà ritorna sui suoi passi per trovare nuovi percorsi incentrati su contrasti soffusi, nati dall’accostamento di immagini originariamente concepite per ambiti diversi, e ci mostra piccole schegge di paesaggi silenziosi.

English text

Luisa Grigoletto

All photographs are available in limited editions of 5, in different sizes